Aggressione ai medici, l’Ordine: “Si attivi cabina di monitoraggio”

in UNISA

COMUNICATO STAMPA

Riprendono gli episodi di violenza negli ospedali

La lettera del Presidente dell’Ordine dei Medici della provincia di Salerno Giovanni D’Angelo “Subito la cabina di monitoraggio”

Il Mattino di Napoli del 25 Giugno riporta la cronaca di un assalto di nove persone, nel Reparto di Medicina D’Urgenza al quarto piano del Cardarelli di Napoli, nella notte tra domenica 6 e lunedì 7 del mese di Giugno del c.a.  La motivazione sembra sia il decesso di una parente degli assalitori. Nella cronaca dell’episodio vengono descritte azioni e minacce, che costrinsero medici e infermieri a cercare un riparo. Ma durante la rappresaglia un malato, probabilmente stroncato da infarto miocardico acuto, moriva, con la conseguenza che quattro sanitari sono ora coinvolti nelle verifiche condotte dalla Procura per chiarimenti sull’assistenza al paziente deceduto nella notte dell’assalto.

Nella stessa giornata del 25 Giugno c.a. varie testate giornalistiche di Salerno riportano l’aggressione verificatasi nel Pronto Soccorso dell’Ospedale Umberto I di Nocera Inferiore con lesioni a due medici e tre infermieri. L’assalto questa volta è numericamente contenuto: tre familiari, ma gli effetti sono ben rappresentati dalle immagini del Pronto Soccorso sui giornali. Perché questo atto di grave intolleranza? Il malato, parente degli assalitori, già tranquillizzato da una precedente visita specialistica, era giunto al Pronto Soccorso con specifica richiesta di esame cistoscopico, ritenuto non urgente dai medici. La furia dei familiari e dello stesso malato si è abbattuta “… su uomini e cose”:  il medico di turno, lo specialista chiamato in consulenza, tre infermieri; computer, arredamento e altro materiale presente nel Pronto Soccorso.

Sempre nel venerdì “maledetto” del 25 Giugno, la Città riporta le criticità nell’accesso al Pronto Soccorso sottolineate dal collega della Cgil Medici Francesco Bruno dell’Azienda Ospedaliera Ruggi                       “Negli ospedali del futuro bisognerà predisporre stanze e spazi più larghi per favorire gli ingressi al P.S.”. Questo perché la prevenzione del COVID 19 pre-ingresso mediante esecuzione di tamponi, determina un allungamento dei tempi di attesa per l’accesso al P.S. di ore, in giornate calde e con numerosi incidenti. Per fortuna le varianti Delta del Covid, sono per ora lontane dai nostri territori.

Tre situazioni differenti di intolleranza, tutte in luoghi appartenenti alla filiera assistenziale dell’emergenza-urgenza. I primi due episodi, certamente più impressivi e preoccupanti ripropongono alcune riflessioni, che non possono essere trascurate dal livello politico e gestionale in merito alla sicurezza nei luoghi di assistenza.

1)     E’ giusto lasciare scoperti di presenza delle forze dell’ordine sedi di P.S. a elevata affluenza, con recidiva di assalti al limite della disgrazia e in contesti di ben note problematiche sociali, detonatori potenti in luoghi di emergenza medica?

2)     E’ pensabile, dopo anni di ripetuti episodi del tipo sopra descritto, che non si possano mettere in atto azioni correttive, che incidano sulla creazione di percorsi protetti di accesso al P.S., sull’incremento del personale sanitario e degli spazi assistenziali con possibile riduzione dei tempi di accesso, sulla velocizzazione di esami diagnostici per la definizione dell’esito (in-out), sulle modalità di comunicazione ai malati e ai loro parenti, sulla trasmissione elettronica in sale di attesa dei tempi di percorso dei singolo pazienti presenti all’interno del P.S. ecc. ecc.?

3)     Quanto tempo ancora bisogna attendere per vedere approvata anche dalla Camera dei deputati la legge impropriamente definita “scudo penale” , che nella realtà dovrebbe rappresentare un atto di riequilibrio tra l’eccesso di rischi giudiziari, di chi opera con l’intenzionalità di assicurare il diritto alla salute del malato e le minacce verbali e/o azioni di violenza messe in atto sui sanitari, quasi sempre accompagnate anche a provvedimenti giudiziari destabilizzanti e di lunga durata, seppure con esito favorevole?

Si potrebbe attivare una cabina di monitoraggio appositamente per la valutazione di questi allert nei percorsi emergenziali, con finalità, attraverso proposte attuative, di miglioramento nella comunicazione e nell’azione.

Sarebbe poco corretto e fallace mantenere il silenzio sull’anello forte e determinante del percorso emergenziale: il 118 nella sua rappresentazione sul territorio e le due Centrali Operative Territoriali: COT 118 presso l’Azienda Ospedaliera e COT 118 presso l’Ospedale di Vallo. Nel terzo episodio presso il P.S. dell’Azienda Ruggi, la fotografia di ambulanze in attesa di consegna del paziente, è esplicativa di una difficoltà di processo, che si ripercuote sul malato e sulla struttura di accoglienza ma anche sul servizio di emergenza in toto, privato temporaneamente degli equipaggi mobili del 118 con necessità di attuare nuovi e verosimilmente più lunghi percorsi, in caso di chiamate nei territori di pertinenza degli equipaggi bloccati.

Tutto quanto sopra detto non è un processo alla ricerca di responsabilità diffuse, quasi sempre inevitabili e di gestione lunga e difficile.  A monte del disagio nel vasto mondo dell’emergenza va posto innanzitutto la carenza di risorse umane, molte volte cercate e non trovate, la cui causa è composita: blocco decennale delle assunzioni, stipendi inadeguati al rischio professionale, pensionamenti continui e fuga verso altre posizioni di dipendenza, concorsi andati deserti, condizioni di lavoro disagiate e confinato in postazioni lontane dalla residenza, turni faticosi, rischiosi e con ore di straordinario.

Stiamo uscendo da una guerra lunga e difficile, i nostri soldati sono stanchi, preoccupati, psicologicamente stressati. Avrebbero bisogno di riposo ma il nemico non arretra, si nasconde, si trasforma e aspetta tempi migliori per riprendere ad avanzare. L’unica barriera al momento è la rapidità vaccinale per raggiungere il fenomeno “gregge”.

Ai cittadini chiediamo solidarietà verso questi sanitari che hanno avuto la possibilità di continuare a combattere; molti altri sono deceduti. Il sistema emergenziale rappresenta molte volte la linea che divide la sopravvivenza dalla morte e va quindi sostenuto psicologicamente e con mezzi adeguati. Tante volte è l’ultima possibilità per rivedere i propri cari e grazie a colui il quale con coraggio e decisione si impegna, insieme ai componenti dell’equipaggio o agli infermieri del P.S., nel defibrillare il paziente e massaggiarlo con affettuoso vigore perché il paziente riapra gli occhi alla vita e possa di nuovo respirare autonomamente, mentre gli occhi dei soccorritori si riempiono di lacrime e il cuore di gioia. Perché la medicina, a volte, vince sulla morte e ridona la vita.

E’ arrivato il momento che ognuno si impegni, in rapporto alla sua funzione e al suo ruolo nel governo della Sanità, in un profondo miglioramento e riammodernamento dell’apparato assistenziale per le emergenze. Non è più possibile accettare ciò che si ha in questo settore salvavita, ma con determinazione, convinzione e coraggio bisognerà allocare importanti quote del finanziamento in Sanità provenienti dal Recovery fund nel rimboschimento di uomini e mezzi per un Servizio dell’Emergenza appropriato alla sua mission nel sistema assistenziale. Molto potrà essere fatto con moderni mezzi telematici e con una programmazione dei servizi all’altezza degli obiettivi da raggiungere e proporzionati al bacino di competenza, alla complessità della patologia, alla formazione del personale e ai Centri Ospedalieri di accoglienza. Dunque una macchina complessa che prevede uno stretto rapporto tra intervento sul territorio e ospedale appropriato per il trattamento del paziente.

Il presidente, Giovanni D’Angelo

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