Demansionamento infermieristico, tra umiliazioni e mortificazioni

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Infermieri mortificati dal demansionamento. E una sentenza gli dà pure torto. Sottolineando che “…in via eccezionale deve svolgere mansioni improprie”. Una eccezionalità che, nel Salernitano, tra mancanza di personale e legge 161(che impone il riposo forzato), tra diventando routine. Una situazione che va a discapito della utenza.

Così, gli infermieri, nel caso specifico quelli che si rivedono nel sindacato Nursind, stanno girando per tutti gli ospedali dell’Asl Salerno e quelli che afferiscono all’Azienda universitaria Ruggi, per informare colleghi e utenti su quanto sta accadendo.

“Manifestiamo contro il demansionamento infermieristico, spiega Luigi Acanfora, che è una protesta a vantaggio dell’utenza. Mentre altre categorie professionali vengono pagate per fare ciò che il contratto di lavoro impone loro di fare e solo eccezionalmente può loro capitare di svolgere mansioni improprie, all’infermiere invece si chiede di trascorrere una buona parte del tempo a curare gli interessi di una amministrazione che ha rinunciato ad assumere figure di supporto, ausiliarie”, spiega Acanfora che ieri, insieme ai colleghi, era a Nocera, all’Umberto I. Prima erano stati a Eboli e al Ruggi. Presente anche il presidente del Collegio degli Infermieri di Salerno, Cosimo Cicia, che ha raccolto il grido d’aiuto.

“Dopo il tour negli ospedali ci fermeremo e insieme organizzeremo e terremo un convegno per spiegare cosa sta accadendo alla categoria. Chiederemo di revocare l’articolo 49 che ci penalizza”, conclude il presidente. Intanto, a far sentire la propria voce arriva un protagonista che vive ogni giorno, sulla propria pelle, il peso del demansionamento. Lui è Armando, infermiere di Eboli, che ha inviato una lettera al sindacato.

“La delusione di fronte all’ennesima beffa: la normativa sui riposi è ora in vigore, ma nulla è cambiato, nulla è rispettato. E la flebile speranza che “chi di dovere” stia perlomeno tentando di avvicinarsi a quell’interruttore che darà luce alla professione, finalmente. Una speranza rassegnata e appesa a un filo”, scrive e aggiunge.

“Io vorrei fare un lavoro normale: di quelli dove mi assumono, mi dicono cosa si aspettano da me ed io cerco di dare il meglio, di migliorare le mie competenze, di far bene il mio lavoro.

Mi ritrovo invece incastrato da decenni in questa dicotomia tra quello che sono, quello che faccio e quello che dovrei essere e fare. Sono un infermiere, lavoro nell’ospedale di Eboli, dove qualcuno dice si sia fermato Cristo, l’attuale Papa dice che Cristo oggi sarebbe un infermiere ed io capisco perché si sia fermato proprio qui: ad Eboli gli infermieri vengono crocifissi, ogni giorno. Sono decenni che vivo situazioni di sfruttamento, di umiliazioni.Ma oltre a me ad essere sfruttati ed umiliati sono i pazienti/utenti e la mia professione.Da sempre spero che verrà il giorno in cui tutto cambierà: non potrà andare sempre così, mi ripeto mentre corro a distribuire il vitto, a rifare i letti stando attento a come viene piegato l’angolo e non dimenticando di contare le lenzuola sdrucite che invio in lavanderia dopo aver legato per bene il sacco che li contiene e, mentre lo trascino dove verrà prelevato il giorno dopo, prego perché se qualche paziente avrà necessità di un nuovo lenzuolo so che dovrò correre per i reparti ad elemosinarlo: ne abbiamo in dotazione così pochi che di sera e nei week end dobbiamo centellinarli. Appena esco dallo stanzino il collega mi avvisa che il paziente del letto 3 ha diarrea: devo correre a mettere i guanti …no, prima devo recuperare qualche lenzuolo nei reparti più vicini. Giusto il tempo di detergere con lo spazzolone la padella e subito bisogna correre a ritirare i vassoi, gli addetti della cucina sono già venuti a sollecitare, non tocca a loro raccoglierli e dobbiamo sbrigarci”, e aggiunge.

“Rilevo poi i parametri vitali e misuro le glicemie dei pazienti diabetici e qui rischio di pungermi, devo stare attento: per risparmiare l’amministrazione ha deciso di non fornirci più di pungidito “per comunità” dove si getta via tutta la parte anteriore insieme alle lancette ma ci ha dato lancette e pungidito “personali”, che se li dovessi usare rischierei di infettare di epatite C o HIV i pazienti …ed allora scelgo di pungere con le lancette a mano libera, così rischio io di pungermi ed ammalarmi …dicono che non tutti gli infermieri di questo ospedale hanno la stessa attenzione verso i pazienti, ma tant’è: siamo come siamo”.

Nel frattempo il turno è terminato, consegne veloci e via a spogliarmi della divisa che sento sempre più stretta. Adesso c’è il tempo per pensare, per mettere a fuoco, per capire che questo 25 novembre resta un’altra occasione persa, un’altra data per ricordare i diritti negati: la legge impone alle aziende sanitarie di trattare gli infermieri come lavoratori normali, di non chiamarli più al telefono dopo il turno di notte per chiedere di rientrare di pomeriggio con il solito ricatto morale: “altrimenti il collega resta solo” a gestire l’ingestibile …e dall’altro lato della cornetta sappiamo che resta solo davvero!

Un poco ci abbiamo creduto, ci aspettavamo che cambiasse qualcosa, ci sono le regole, le multe, “ce lo chiede l’Europa”! E invece no, i turni restano gli stessi. L’azienda se ne fotte. Ed io non ce la faccio più a protestare, raccolgo appena quel sentimento di frustrazione che va aumentando e lo nascondo tra le rughe ed i capelli che ormai sono di un colore indefinito.

E ripenso a quando, anni fa, vide la luce il profilo professionale, anche allora avevo sperato che tutto cambiasse”.

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